Danno da lesione del rapporto parentale

Vincolo di sangue nel risarcimento del danno da lesione del rapporto parentale.

Cass. civ., sez. III, ord. 5 novembre 2020 n. 24689

Massima

Il vincolo di sangue non è un elemento imprescindibile ai fini del riconoscimento del danno da lesione del rapporto parentale, dovendo esso essere riconosciuto in relazione a qualsiasi tipo di rapporto che abbia le caratteristiche di una stabile relazione affettiva, indipendentemente dalla circostanza che il rapporto sia intrattenuto con un parente di sangue o con un soggetto che non sia legato da un vincolo di consanguineità naturale, ma che ha con il danneggiato analoga relazione di affetto, di consuetudine di vita e di abitudini, e che infonda nel danneggiato un sentimento di protezione e di sicurezza.

La questione

Nell’ordinanza qui esaminata, la Suprema Corte, pronunciandosi sul ricorso dei parenti di un uomo rimasto ucciso da un colpo di pistola esplosa accidentalmente da un carabiniere, si chiede se sia lecito o meno che al fratello unilaterale della vittima spetti un risarcimento del danno da perdita parentale pari a quello liquidato a favore degli altri fratelli consanguinei.

Le soluzioni giuridiche

L’ordinanza n. 24689/2020 si è pronunciata sul ricorso dei parenti di un uomo rimasto ucciso da un colpo di pistola esplosa accidentalmente da un carabiniere. I giudici del merito, accertavano la responsabilità esclusiva dell’agente nella causazione dell’incidente mortale, condannandolo (in solido con il Ministero della Difesa) al pagamento di euro 110.000,00 nei confronti di ciascuno dei tre fratelli. La Corte d’appello ha riconosciuto la ricorrenza del danno parentale subìto dalla madre e dai fratelli della vittima e lo ha quantificato tenendo conto di tutti gli elementi acquisiti. All’attenzione della Suprema Corte, veniva contestata l’errata liquidazione del danno da lesione del vincolo familiare a favore del fratello unilaterale della vittima applicata dal giudice d’appello, sostenendo che non si sarebbe tenuto conto della condizione di unilateralità del rapporto di fratellanza, in quanto erano state previste identiche liquidazioni per tutti i fratelli nonostante uno dei tre fosse nato da una seconda relazione della madre della vittima, e quindi avesse un solo genitore in comune. La Suprema Corte, tenendo conto del fatto che uno dei fratelli della vittima non fosse germano, ma fratello unilaterale – perché figlio del secondo marito della madre –, ha statuito che le sue condizioni avrebbero dovuto essere interamente equiparate a quelle degli altri fratelli, pur non essendo egli convivente con la vittima all’epoca dei fatti. La cessata coabitazione, infatti, non esclude il rapporto di affetto e il fratello unilaterale ha diritto ad un ristoro pari agli altri fratelli germani: pesano la consuetudine di vita e le abitudini, oltre che il dato biologico.

Conclusioni

Il fatto che i fratelli abbiano in comune solo uno dei genitori non deve incidere in modo automatico negativamente sull’intimità della relazione di parentela, sul reciproco legame affettivo e sulla pratica della solidarietà. Il legame di parentela, infatti, resta diretto ed immediato pur se l’origine comune si concreti in un solo genitore; insomma, non c’è, né può esservi, una differenza qualitativa tra fratelli germani da un lato, e consanguinei o uterini dall’altro. Nessun rilievo può essere attributo, poi, alla circostanza che il rapporto di fratellanza fosse unilaterale. La Corte, infatti, ritiene necessario ribadire che il vincolo di sangue non è un elemento imprescindibile ai fini del riconoscimento del danno da lesione del rapporto parentale, dovendo esso essere riconosciuto in relazione a qualsiasi tipo di rapporto che abbia le caratteristiche di una stabile relazione affettiva, indipendentemente dalla circostanza che il rapporto sia intrattenuto con un parente di sangue o con un soggetto che non sia legato da un vincolo di consanguineità naturale, ma che ha con il danneggiato analoga relazione di affetto, di consuetudine di vita e di abitudini, (così anche Cass. civ., 21 agosto 2018, n. 20835). La circostanza che i fratelli abbiano in comune uno solo dei genitori non può inficiare, in termini negativi, l’intimità della relazione di parentela. Il danno riconosciuto nel caso di specie è quello volto a ristorare la perdita del rapporto tra i superstiti e la vittima: perdita atta a provocare uno stravolgimento del sistema di vita, che trovava le sue fondamenta nell’affetto e nella profondità del rapporto parentale, e sul quale le attitudini di vita della vittima e/o dei superstiti (dediti ad attività illecite) non rilevano, non incidendo sulla intensità del legame.

Cass.-Civ.-Sez.-III-Ordin.-24689-2020

*FONTE: RiDaRe.it